Di Miceli e Tarantino – Da Capaci a Palermo, Desolazione e Speranza – Caffè Guerbois – Palermo

Di Miceli e Tarantino – Da Capaci a Palermo, Desolazione e Speranza – Caffè Guerbois – Palermo
fino al 21 giugno 2011

DA CAPACI A PALERMO, DESOLAZIONE E SPERANZA
Una serie di scatti “emblematici” in grado di restituire puntualmente l’articolata complessità dello “stato delle cose”.

E’ questo il peculiare approccio alla fotografia che caratterizza il fare artistico di Santo Eduardo Di Miceli e Benedetto Tarantino; un approccio che si inscrive a pieno titolo nel novero proprio della fotografia di inchiesta e di impegno civile (che non a caso ha in terra di Sicilia una lunga e consolidata tradizione, dalle foto ormai storiche di Nicola Scafidi a quelle di Ferdinando Scianna e di Letizia Battaglia o ancora a quelle di connotazione più etno-antropologica di Enzo Sellerio), ma che al contempo si qualifica per la sua capacità di andare al di là del ristretto ambito di tipo cronachistico, per sconfinare nei territori più lati ed inventivi della narrazione per immagini.

Da Capaci a Palermo, Desolazione e Speranza, la mostra fotografica dei due artisti palermitani (allestita fino al 21 giugno alla galleria Caffè Guerbois) è infatti un corposo e dettagliato excursus sulla Palermo di oggigiorno, ove ogni singolo scatto, pur compiuto e concluso in sé, costituisce un capitolo d’un più ampio e approfondito resoconto visuale.

Evocative e simboliche (ma al contempo circostanziate e precise nella loro collocazione topografica, antropologica e sociale), le fotografie di Di Miceli e Tarantino, partendo dal tragico spunto dell’attentato a Giovanni Falcone e alla sua scorta, tracciano un quadro della situazione palermitana scandito da luci ed ombre, delineato fra il sentito desiderio di riscatto e di rinascita e la rassegnata sfiducia nei confronti d’una concreta possibilità di cambiamento.

Tratti del litorale di Capaci e scorci cittadini che denunciano un palese stato d’abbandono (frutto del totale disinteresse delle istituzioni preposte alla loro gestione) si alternano a caratteristiche scene di festa popolare (giochi pirotecnici, bancarelle cariche di dolciumi, preparazioni di prelibatezze della gastronomia da strada, tutti soggetti immortalati nel corso del festino di santa Rosalia), in una sorta di ideale e metaforica contrapposizione fra i “sintomi” d’un male atavico e incancrenito (quello della cattiva politica che si intreccia al malaffare e alla malavita) e i “segni” d’una reattività vitalistica (interamente popolana) foriera di più confortanti auspici d’una futura “renovatio”.

L’esaltazione della valenza iconica dei soggetti inquadrati, la sapiente orchestrazione degli assetti chiaroscurali, la scarna misura dell’eloquio visuale, la notevole empatia nell’analisi di situazioni e personaggi, tutto nella fotografia dei due artisti palermitani concorre all’attuazione d’una irretente ed efficace sequenza narrativa, capace di coinvolgere “affettivamente” gli osservatori in una dimensione da reportage in cui gli aspetti della dura presa di coscienza non prescindono giammai da un’obbligata ricerca di tipo artistico ed estetico.

Forse troppo vincolato ad un cogente schema di natura bipolare, il racconto fotografico di Di Miceli e Tarantino va tuttavia considerato non come un’opera definitiva e ormai completa, ma piuttosto come l’incipit d’un work in progress che non può certo esulare né dall’analisi di quei lati oscuri che il vitalismo popolare spesso cela al proprio interno (in primis la carenza o la totale assenza di quella coscienza di classe che è il prerequisito d’ogni consapevole reazione contro l’oppressione marginalizzante posta in essere da chi detiene il potere) né dall’allargamento dell’obiettivo “indagatore” verso quegli ambienti della società insulare in passato a torto ritenuti esenti da colpe o corresponsabilità (ovvero quella “buona borghesia” senza la quale nessun mafioso riuscirebbe a esercitare il proprio imperio).

Un’opportuno “sconfinamento” in quell’ampia zona grigia interposta fra gli estremi della desolazione e della speranza, che, grazie al penetrante e tempestivo scandaglio fotografico, consentirebbe di narrare “visivamente” (senza dubbio in maniera più approfondita) la reale natura di certe dinamiche perverse che devastano nel profondo la nostra società.
Salvo Ferlito