Un Tuffo nell’Arte di Via Margutta – Roma

Un Tuffo nell’Arte di Via Margutta – Roma
dal 7 novembre al 13 dicembre 2012

inaugurazione della mostra organizzata dall’Università E-Campus e dedicata all’arte di via Margutta. L’appuntamento è per mercoledì 7 novembre alle ore 18, in via del Tritone 169, Roma.

Tra le opere esposte vi sarà anche un angolo dedicato ad Eva Fischer, illustre esponente della scuola romana del dopoguerra e che ha respirato l’atmosfera marguttiana nel vivo dei suoi fermenti culturali.

Prossima al suo 92esimo compleanno, Eva Fischer (www.evafischer.com ) ci ha regalato un suo ricordo che riportiamo in calce.

Un tuffo nell’arte di via Margutta si concluderà giovedì 13 dicembre, sempre negli spazi E-Campus , con una conversazione sulla storia e le tradizioni artistiche della celebre strada romana insieme alla scrittrice Francesca Di Castro, autrice di numerosi saggi sull’argomento.

Quelle notti a Via Margutta

di Eva Fischer

Sono, credo, l’ultima marguttiana. Arrivai in questa strada bellissima nel cuore di Roma nel ’46, a guerra appena finita. Molti di noi, pittori, musicisti, scrittori, uscivano dal periodo più oscuro e drammatico della nostra vita e ciascuno di noi, seduto al tavolo della Trattoria "Il re degli amici", aveva qualcosa da raccontare su prigioni o cantine o esili.

C’erano artisti come Tot, Cagli, Campigli, Severini, registi come Visconti, scrittori come Carlo Levi, musicisti come Franco Ferrara e Ildebrando Pizzetti, politici come Tremelloni e Pertini. Giovanni, il proprietario della trattoria, aveva diviso i tavoli dei politici, certo già più benestanti, da quelli degli artisti, molti dei quali – me compresa – pagavano i pasti con disegni, dipinti o pitture murali. Capitavano ai nostri tavoli anche i grandi intellettuali stranieri, anch’essi venuti a respirare l’aria di Roma, da Roger Peyrefitte a Salvador Dalì.

Diventammo amici nel corso di lunghe passeggiate avanti e indietro per via Margutta e ci trovavamo nello studio di Amerigo Tot, che riusciva sempre a rimediare un goulash, servito in piccole tazze di terracotta, per gli "affamati di guerra". Si discuteva di tutto: era l’età dei progetti, delle scoperte, delle ambizioni, dei traguardi e delle conquiste che ciascuno aveva di fronte. Spesso i discorsi si facevano apparentemente fumosi: una sera Dali mi tenne una conferenza sulle mosche e sulla loro presenza nel mondo dell’arte.

Sostenne con granitica certezza che in America non c’erano mosche e che pertanto egli non avrebbe mai potuto viverci. Apprezzava in modo particolare le mosche italiane, molto più pulite di quelle spagnole. Al momento dubitai della sua salute mentale ma un giorno compresi che un surrealista non avrebbe potuto che parlare di mosche o di altri insetti.

Una sera capitò a casa di Luchino Visconti Pablo Picasso: ne venne fuori un colorito disegno di Roma con una lucente spada al posto di Via Margutta, un disegno fatto di parole indimenticabili come i colori romani. Porto dentro di me un vivo ricordo di quell’atmosfera piena di poetico sentimento e di autentico amore, grazie anche al sottofondo pianistico di un giovane e affascinante musicista siciliano, quel Franco Mannino che doveva poi comporre tante musiche per i film di Luchino. Queste presenze eclatanti resero Via Margutta famosa in tutto il mondo. Incominciarono ad arrivare anche i mercanti d’arte e i collezionisti, certamente molto graditi a tutti gli artisti.

Anche il mio lavoro cominciava ad essere apprezzato: Corrado Alvaro scrisse una mirabile presentazione alla mia mostra sui mercati romani, frutto di tanto tempo speso a Piazza Vittorio, con i suoi rossi vivi e le sue tavolozze di frutta, verdura, pesce fresco. Ma la nostra vera sovrana era la notte. Interminabili erano le camminate in gruppi di cinque o di dieci nella tiepida notte romana che ci pareva pigra ma unica nel suo colore e nella sua generosità.

In quelle notti qualcuno improvvisamente si fermava e cominciava a declamare a memoria l’Addio di Lucia ai monti o brani dell’Odissea, come faceva Emilio Villa, spesso interrotto e corretto da Ennio Flaiano o da Moravia, quest’ultimo sempre arcigno, immerso com’era nei suoi racconti oppure meditabondo su qualche sottana preferibilmente straniera. O Giuseppe Serto, pensoso e sorridente, appena fuori dal suo Cielo Rosso o forse già dentro il suo Male Oscuro.

Che strano: era ancora così vicina la guerra eppure anche così lontana da quelle notti ritrovate nei nostri indumenti ancora lisi e spesso rattoppati, mentre a Villa Borghese guardavamo spuntare l’aurora sui problemi del mondo! Oggi torno di rado a Via Margutta. Tanti amici sono diventati ombre nel cielo marguttiano. Questo è il ciclo della vita, questo è il mutamento dell’esistenza. Via Margutta è sempre uguale come una lama di spada nel ventre di Roma e le poche volte che la ripercorro io sento ancora molte presenze.