Arti mestieri venditori e botteghe nelle collezioni del museo Pitrè – Palermo

Arti mestieri venditori e botteghe nelle collezioni del museo Pitrè – Palermo
dal 27 dicembre 2013 al 28 febbraio 2014

ARTI MESTIERI VENDITORI E BOTTEGHE Nelle collezioni del museo Pitrè – Venerdì 27 dicembre, alle ore 17,30  presso il Museo Pitrè, Viale Duca degli Abruzzi,1 avrà luogo l’inaugurazione della mostra dal titolo “Arti mestieri venditori e botteghe nelle collezioni del museo Pitrè”. Presenzieranno il Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, l’Assessore alla Cultura, Francesco Giambrone e il Direttore del Museo Pitrè,  Eliana Calandra.

L’esposizione intende tracciare un continuum  storico che, dalle antiche corporazioni, figlie di una società ancora di matrice feudale, porta fino all’Ottocento e al periodo postunitario.

Percorso che viene delineato attraverso cinque sezioni: Corporazioni e Maestranze; Mestieri maschili; Mestieri femminili; Venditori girovaghi; Botteghe.

In mostra, circa cinquecento pezzi, tra manoscritti originali provenienti dall’Archivio storico comunale, attrezzi e utensili da lavoro, foto d’epoca, ricostruzione di ambienti, insegne di bottega, costumi, statuine, incisioni, manufatti, modellini  e molto altro per illuminare  le tradizioni, i simboli, i protagonisti del  mondo del lavoro in Sicilia, dal Quattrocento ai primi del Novecento.

L’ideazione, il coordinamento e i testi sono curati dal Direttore del Museo Eliana Calandra e dallo staff interno. Gli allestimenti – dall’ideazione alla realizzazione – sono curati dal COIME diretto da Francesco Teriaca.

LA MOSTRA
Le maestranze
Dal Trecento in poi, l’esistenza delle maestranze palermitane
come corpi giuridicamente riconosciuti, dotati di proprie prerogative e poteri, viene sancita con l’approvazione, da parte del Senato cittadino, di appositi Statuti o Capitoli, oggi conservati presso l’Archivio storico comunale nelle serie Atti del Senato e Proviste e che per la prima volta vengono esposti al pubblico.

Citiamo iI Privilegium pro marmorariis et fabricatoribus, rilasciato dal comune di Palermo il 18 settembre 1487 per l’approvazione dei “capitoli” proposti dalla maestranza dei marmorari e muratori e, di epoca settecentesca,  abbelliti da immagini a tempera, gli statuti dei Cappellieri  e dei Sellari. le maestranze saranno definitivamente abolite dopo la rivoluzione del 1820, col R. Decreto del 3 ottobre 1821. Le mutate condizioni politico-economiche e la concorrenza dei nuovi mercati avevano reso insostenibile il rigido sistema monopolistico delle corporazioni chiuse, ma in qualche modo lo spirito corporativo sopravvisse alla loro scomparsa, in altre forme di organizzazione del lavoro, in una Sicilia che, dopo l’Unità, si trovò ad affrontare nuovi e drammatici problemi, frutto di laceranti contraddizioni sociali. Delle forme del lavoro contadino in Sicilia, nel periodo postunitario, il Museo Pitrè conserva un’ampia casistica.

Mestieri maschili e mestieri femminili
La rigida suddivisione dei ruoli all’interno di una società ancora
patriarcale imponeva anche la netta distinzione tra mestieri  maschili, quali caccia e pesca, agricoltura e pastorizia, e mestieri tipicamente femminili, quali la filatura e la tessitura.

In mostra, la sezione dedicata ai mestieri maschili si apre con l’esposizione degli arnesi di caccia e attrezzi di pesca, per poi continuare con oggetti d’uso e forme d’arte legate al mondo dell’agricoltura e dei pastori (dagli attrezzi da lavoro, ai costumi, alle borracce di zucca e bicchieri di corno finemente incisi a punta di coltello).

Le donne, nell’organizzazione del lavoro propria della Sicilia rurale e contadina di fine Ottocento, certamente condividevano coi loro uomini le fatiche dei campi e il duro lavoro quotidiano scandito dall’avvicendarsi delle stagioni, ma le attività che erano più propriamente femminili, e nelle quali potevano vantare una sorta di esclusiva erano quelle, fondamentali, della filatura e tessitura, attività propedeutiche al cucito e al ricamo.

Foto d’epoca, ma anche modellini e ricostruzioni di ambienti domestici, ce le mostrano intente al telaio, o a ricamare e cucire. Nella sezione dedicata ai mestieri femminili, accanto a fusi, conocchie, arcolai e archetipi del telaio, ritroviamo anche campioni di tessuti costumi femminili  e vari tipi di canestri intessuti, oltre alle riproduzioni fotografiche che documentano con immediatezza gli usi del tempo.

Venditori girovaghi
Nelle collezioni del Museo Pitrè ritroviamo molte testimonianze
relative ai venditori ambulanti e immagini che li ritraggono, sia  sotto forma di tempere su carta e fotografie, sia di incisioni e stampe di chiara derivazione dalle prime.

Altro modo di rappresentazione, che si iscrive nell’ambito dell’arte popolare, è quello delle statuine in colla, legno, gesso e altri materiali poveri, che a volte raffigurano solamente il soggetto con i suoi   strumenti di lavoro, altre volte si arricchiscono di particolari relativi all’ambiente, per contestualizzarne l’attività.

Eugenio Interguglielmi, fotografo molto noto nella Palermo di fine Ottocento, realizza un’ampia campagna fotografica che ritrae ricamatrici e pescatori, tagliatori di scorza di limoni che attendono al proprio lavoro, vicoli brulicanti di carretti e venditori ambulanti, acquaioli, venditrici di frutta e così via.

All’incirca gli stessi soggetti delle fotografie ritroviamo nella bella serie di tempere su carta dei primi dell’Ottocento (incisore De Bernardis) e nelle cartoline d’epoca. “Venditori girovaghi”, li definisce il Pitrè, che formano una galleria di “tipi curiosissimi” distinguendosi per certe loro caratteristiche dai “venditori fissi”.

Ci sono alcune donne, tra loro: la panellara, l’ovarola, la venditrice di coffe e muscalora. Maschili, invece, le altre figure: il fabbro, ad esempio, in siciliano detto zingaro; il cucuzzaro, venditore di zucchine napoletane; il solichianeddu  (letteralmente “risuolaciabatte”); il pizzaloru o cenciaiolo, che gira per i vicoli portando a spalla le ceste (cartedde) piene di cenci trovati tra la spazzatura; il venditore di corallina e vecchie sartie, dette simenza di vermi e spartu.

Quest’ultimo è di solito un anziano pescatore, che non è più in grado di andare per mare e si guadagna da vivere vendendo vecchi cordami, inutilizzabili per gli usi originari, che, tagliati in pezzi di trenta o quaranta centimetri, vengono riciclati come setole per la pulizia e lucidatura di pentole e stoviglie. Sopravvivono ancora, seppure trasformati e adattati ai tempi, mestieri come quello del poliparu, del siminzaru, del venditore di fichidindia.

Botteghe
I venditori che Pitrè definisce “fissi” hanno la fortuna di svolgere
la propria attività all’interno di una bottega. Di queste botteghe ottocentesche rimane, nelle collezioni del museo Pitrè, una bella serie di dodici insegne.

Giuseppe Pitrè le distingue in “naturali” e “artificiali”. Alle prime appartengono i semplici oggetti che attengono al commercio o attività, dalla grossa chiave pendente sull’uscio del chiavettiere  alle catinelle di rame giallo che indicano la presenza deI barbiere. Allo stesso modo, i calzolai usavano appendere una forma di scarpa allo stipite della loro porta, i carbonai e í pagliaiuoli piccoli fasci di carbone e di paglia, i maniscalchi un ferro di cavallo, i rigattieri una giacchetta o una gonna, e così via.

Le seconde sono "tabelle dipinte", di dimensioni standard (40×25 cm. circa), opera di pittori popolari che in esse ripetono senza alterarli ben precisi stereotipi iconografici: il maniscalco viene raffìgurato nell’atto di ferrare il cavallo; l’insegna del tabaccaio (tabaccaru, sammucaru) presenta un uomo elegante con un sigaro in bocca e il motto E io sempre fumo; quella del salassatore ritrae, con crudo realismo, un uomo nudo, supino, con le vene che schizzano sangue; la sedia da parto, sulla quale è dipinta la Madonna, è l’insegna della levatrice. Il motto Viva la Divina provvidenza, ogni bene da Dio viene  si trova dipinto nell’insegna di una taverna, chiara allusione alle "benefiche" proprietà del vino. Queste immagini, forme embrionali di pubblicizzazione del lavoro, ci riportano a un contesto sociale povero all’interno di un tessuto economico destinato a subire profonde trasformazioni per I’incalzare della nascente era industriale.

La mostra sarà visitabile fino al 28 febbraio, dal martedì alla domenica, ore 9,30-18,30.
Aperta l’1 gennaio 2014. Ingresso libero.
archivispazietno@comune.palermo.it