Week end al Teatro Finocchiaro tra Frequenze retrò e Gipsy jazz – Palermo

pallinoWeek end al Teatro Finocchiaro tra Frequenze retrò e Gipsy jazz – Palermo
17 e 18 gennaio 2015

Sprangato da dieci anni, uno dei gioielli liberty di Palermo ha riaperto le sue porte e si candida a diventare uno dei luoghi di spettacolo del fine settimana. Sempre nell’ottica di proporre musica d’antan, con un sano pizzico vintage e la formula del café chantant. sabato (17 gennaio) alle 21 e domenica (18 gennaio) alle 18 – cena-spettacolo con le Frequenze Retrò.

Una frizzante formazione di gipsy jazz che si apre anche a influenze balcaniche e mediterranee e che ingloba nel repertorio molte delle più belle canzoni francesi, italiane e americane della prima metà del ‘900. Il quartetto delle Frequenze Retrò è composto dalla cantante salernitana Valeria Graziani, dai chitarristi palermitani Salvatore Agate e Maurizio Crivello e dal contrabbassista agrigentino Luca De Lorenzo.

Le Frequenze Rétro hanno ampliato l’originario linguaggio del jazz tzigano a forme più contaminate ed oggi il loro repertorio spazia da George Gershwin a Fats Waller e Edith Piaf fino a giungere a Natalino Otto, Trio Lescano, Fred Buscaglione e Renato Carosone.

Coreografie di Adriana Salemi, in sala le soubrette del Teatro Finocchiaro, Noemi e Simona Cannella, e Floriana Canino.

frequenze-retroValeria Graziani
voce

Salvatore Agate
chitarra Petite Bouche

Maurizio Crivello
chitarra Grande Bouche

Luca De Lorenzo
contrabbasso

Concerto + gran buffet a cura dello chef Carmelo Criscione: 25 euro.
Prenotazione obbligatoria: 091334569 – 331/8799115

Il cineteatro Finocchiaro. Venne costruito nel 1922, per volere del cavaliere Emanuele Finocchiaro, industriale del cemento (e infatti il teatro fu usato anche come rifugio antiaereo durante la guerra), su progetto dell’architetto Paolo Bonci, a cui si devono la Galleria delle Vittorie e palazzo Finocchiaro (1926), che era annesso al teatro. Sono gli anni della realizzazione del secondo tronco di via Roma, dato in appalto allo stesso Bonci e a Rutelli, nell’ambito del progetto di risanamento di Felice Giarrusso.

Mille posti in tutto tra platea (500) e palchi, e un magnifico tetto lucernario apribile che permetteva persino di svolgere spettacoli “all’aperto”. Il Teatro Finocchiaro ha un prospetto importante su via Firenze, che probabilmente una volta era l’ingresso principale, in vista di un progetto degli anni Trenta che voleva l’abbattimento delle case attorno per costruire una piazzetta di accesso. Ma non se ne fece più nulla e la via laterale fu destinata all’ingresso in anfiteatro, di coloro che non avevano i soldi per pagarsi un palco. Anfiteatro fornito di suoi servizi separati a seconda che si pagasse un posto 2 lire o 50 centesimi.

Due gli ingressi, sormontati da quattro file di finestre allineate verticalmente. Le parti laterali affiancano quella centrale come due torri e completano il disegno con un sistema di finestre rampanti incorniciate da emicicli con tarsie che riecheggiano a fantasia klimtiane (vedi un rilievo della Soprintendenza del 1983, che definì il Finocchiaro un “monumento di notevole interesse storico artistico” che porterà ad un vincolo nel 1989).

E’ un insolito connubio fra teatro all’italiana e teatro wagneriano: pianta trapezoidale con una propaggine rettangolare che un tempo ospitava l’ingresso e, al secondo livello, una tea room, gestita dai fratelli Ciccio e Ciro Scianna. In sala, tre ordini di palchi, un loggione laterale al terz’ordine, e un secondo loggione al quarto. Sul boccascena, quattro file di palchi di proscenio. Le decorazioni, tutte Jugendstil, sono tutte dello scultore Geraci: stucchi, motivi floreali e maschere, fregi lignei fino al tetto. Il teatro è agibile solo per la platea, il palcoscenico non è utilizzato dal 1956. Gli antichi foyer, la sala da tè, gli uffici e gran parte dell’ingresso su via Roma sono occupati da altre attività commerciali.

La storia del Finocchiaro. Venne inaugurato il 24 febbraio 1923 con lo spettacolo “Don Pietro Caruso” di Roberto Bracco, messo in scena dalla compagnia di Alfredo De Sanctis, alla presenza – come riportano le cronache del tempo – di “quanto di più aristocratico, di più intelligente, di più fine conta Palermo” (L’Ora). Il teatro “è giudicato degno di una grande città come la nostra – scrive Il Giornale di Sicilia.

finocchiaroCi sono addirittura due ingressi, in moda da non far scontrare il pubblico dei palchi e quello del loggione. Il lucernario mobile piace talmente tanto da indurre il cavalier Finocchiaro ad organizzare una stagione estiva di lirica “a cielo aperto”: il 13 maggio 1923 va in scena “Carmen”. Da quel momento il Finocchiaro ospita un po’ di tutto: qui si esibiscono Giovanni Grasso, Angelo Musco, Macario, Totò, Aldo Fabrizi, si fa prosa, lirica, varietà. La compagnia Nino Fleurville – Dedè Mercedes diede scandalo: la bella soubrette apparve una sera con un abito attillatissimo, lungo fino ai piedi ma sforacchiato. E il comico Fleurville fece notare che la signora non portava biancheria. Gli uomini applaudirono, le donne lasciarono la sala ad occhi bassi. A Palermo se ne parlò per mesi. Beppe Olivieri portò poi i suoi spettacoli che si concludevano con sparatorie: il pubblico le attendeva con le dita vicino alle orecchie.

Nel 1938 muore il cavalier Finocchiaro e il teatro è ereditato dai figli Silvio, Vincenzo, Rosita e Salvatore. Pochi anni dopo rischia anche di fare una brutta fine, visto che è solo sfiorato da una bomba che colpisce un angolo del palazzo (ma si racconta che un aereo kamikaze riuscì ad infilarsi nel suo lucernario, per fortuna senza far grandi danni). Nel 1950 diventa cinema, anche se fino al 1956 alterna anche qualche rara rivista.

Prima i Mangano, poi i Rispetta, diventa il luogo dedicato alle pellicole western, poi ai film di arti marziali, poi cinema a luci rosse, dalle dieci del mattino alle sette di sera. Nel 1990 ritorna agli eredi Finocchiaro che, sebbene spezzettati, lo possiedono tuttora e hanno più volte tentato di aprire una trattativa con la Soprintendenza per ottenere i finanziamenti necessari alla ristrutturazione, senza però mai ottenere risultati concreti. Si tenta di farlo diventare sede di progetti teatrali d’avanguardia, luogo di incontro, spazio per conferenze; lo affitta la facoltà di Architettura per le sue lezioni, gli studenti lo riducono peggio di una toilette, colmo di scritte e sfregi.

Null’altro va in porto e Palermo si dimentica del suo teatro, uno fra i tanti abbandonati. Nel 1998 lo affitta Salvatore Siviglia che tenta di farlo ridiventare cinema, qui si proiettano “Full Monty” e “Titanic”. Il progetto va avanti qualche anno, fino al 2004, poi si spegne. Oggi la ristrutturazione per riconsegnarlo alla città: a cura di Edoardo de Stefani (impianti e messa in sicurezza) e Maurizio Rotolo (pulitura, restauro e rapporti con la Soprintendenza).