Giovanni Serodine – Pinacoteca Züst – Rancate (Mendrisio)

pallinoGiovanni Serodine – Pinacoteca Züst – Rancate (Mendrisio)
31 maggio – 4 ottobre 2015

SERODINE NEL TICINO – Il Canton Ticino è il luogo dove si conserva il maggiore numero di opere di Giovanni Serodine, uno dei massimi artisti del Seicento europeo, morto intorno ai trent’anni, a Roma il 21 dicembre 1630. Di lui sono sopravvissuti soltanto una quindicina di dipinti: e le terre ticinesi han­no la fortuna di possederne, in sostanza, la metà.

Dopo la morte di Serodine, alcuni quadri raggiungono il Canton Ticino per l’impegno dei famigliari, che spesso ricorrono come modelli nelle opere dell’artista.

La parrocchiale di Ascona conserva, tra l’altro, l’ultimo dipinto di Serodine: l’Incoronazione della Vergine, una grandissima tela, dagli incandescenti dettagli, in cui i par­tigiani dell’artista hanno scorto pericolose anticipazioni della pittura a venire. Lo spostamento di questo capola­voro, in concomitanza con i restauri della chiesa di Ascona, è all’origine dell’occasione espositiva. A questo si aggiunge la generosa donazione del Cristo deriso, nell’aprile 2015, da parte di Mirella Vivante-Bernasconi, in ricordo della madre Maria Pia Bernasconi-Enderlin, di Lugano.

att6ad46Originario di una famiglia di Ascona, trasferita a Roma già alla fine del Cinquecento, Giovanni si forma accanto al fratello maggiore Battista, scultore e stuccatore. In poco tempo fa sua – senza i compromessi allora già correnti – la rivoluzione del Caravaggio, comprendendone persino la parte più ardua: la carica morale, non limitata alla semplice riproduzione della realtà o al perseguimento di inediti effetti di luce. All’artista ticinese, che risulta anche sculto­re e architetto, toccano occasioni lavorative di rilievo: dalle pale per San Lorenzo fuori le mura, San Pietro in Mon­torio e San Salvatore in Lauro ai quadri da stanza per il marchese Asdrubale Mattei.

Tuttavia la critica del tempo non è tenera nei confronti di Giovanni, «assai bizzarro e fantastico, con poco disegno e con manco decoro»; di qui un precoce oblio. Bisognerà aspettare Roberto Longhi, il maggiore storico dell’arte del Novecento, perché il pittore conquisti il posto che gli spetta nel diagramma della pit­tura italiana, da allora non più messo in discussione tra gli studiosi, ma non ancora percepito dal grande pubblico.

Non sono mancate, anche in tempi molto recenti e persino alla stessa Pinacoteca Züst, esposizioni dedi­cate a Giovanni Serodine, in cui si è affrontata la sua breve vicenda, calandola nel contesto romano che ha visto nascere i suoi capolavori, o esplorando possibili ampliamenti del suo ridottissimo catalogo. L’iniziativa del 2015, accompagnata da un volume con una nuova campagna fotografica di Roberto Pellegrini e da un allestimento dell’architetto Stefano Boeri (che per la prima volta si cimenta in una mostra d’arte antica, offrendoci gratuitamente la sua opera), con la grafica e l’immagine coordinata di Francesco Dondina, anch’egli messosi a disposizione gratuitamente – è volta a una presentazione, piana ed ele­mentare, del percorso di Giovanni Serodine, così da raccontare – attingendo unicamente alle opere ticinesi – la brevissima e bruciante parabola di un artista con ben pochi confronti nel panorama europeo del suo tempo, tra Velázquez e Rembrandt.