Graffiti Day - 9 maggio 2009

 
17 Totem per il Graffiti Day
 
Offrire un articolato sistema di “miliaria” con cui orientarsi nel controverso panorama della contemporaneità.
Parrebbe essere questo l’intento prioritario perseguito dai diciassette artisti coinvolti nel progetto 17 Totem per il Graffiti day, a conferma dell’insopprimibile esigenza di marcare simbolicamente il territorio “esistenziale”, sì da lasciare “tracce” e “segni” assai evidenti, che possano fungere al contempo da bagaglio esperienziale per il presente e da memoria e tacitiano “monumentum” per il futuro.
Non è per tanto un caso – quindi – che l’intento di celebrare i dieci anni di Graffiti abbia previsto la realizzazione di opere d’arte tutt’altro che effimere quali dei totem, poiché questi, in virtù della loro significativa possanza volumetrico-visiva, si rivelano dei congrui ed appropriati strumenti d’affermazione dell’Ego artistico, in grado di incarnare, con dovizia e precisione, quel modo di intendere il proprio “essere ed esistere al mondo” e quell’idea di sé, maturati nel corso d’una intera vita di uomini e di protagonisti delle arti visuali. Epitomi, dunque, nonché sublimati e concentrati visivi di Io strutturati per progressivi passaggi e sedimentazioni esperienziali, che, innalzandosi in forme simboliche di elevata gradazione emozionale ed affettiva, si offrono quali paradigmi cui relazionarsi e riferirsi, in una interlocuzione che possa fungere da ideale referente ai fini d’una più dettagliata mappatura del “qui e ora” e – in definitiva – d’una più chiara (ma non per questo più rassicurante) topografia della nostra identità spazio-temporale. “Segni” – come detto – (nel senso d’una lata semiologia, ma anche, volendo, d’una semeiotica di stampo clinico), probanti e indicativi d’una condizione assolutamente individuale, e tuttavia capaci, in forza del loro innestarsi come nodi fondanti in una estesa tramatura di interrelazioni, di delineare il puntuale “diagramma” d’una articolata e generale situazione, al contempo psicologica, sociale, cultural-antropologica e quindi storica.
Non, per tanto, semplici “strutture-monito” (nei termini tipici del simbolismo religioso cui i totem alludono nella loro impostazione primigenia ed aborigena), non “soglie” invalicabili (inevitabilmente indicatrici di codici normativi ai quali attenersi strettamente nel viver quotidiano), ma puntuali trascrizioni immaginifiche di vissuti personali (artistici innanzitutto, e contestualmente anche esistenziali), tali da ergersi a efficace “segnaletica” cui guardare non passivamente e con la quale confrontarsi dialetticamente in cerca di illuminanti spunti e suggestioni.
Racconti sempre ben conclusi in loro (e ovviamente doviziosi, a prescindere dal grado di facondia e dal tono più o meno retorico dei diversi e peculiari registri narrativi adottati dagli autori) e ciò nonostante in grado di integrarsi armonicamente, fornendo agli osservatori quel sistema di coordinate – cui nell’incipit si è accennato – capaci di “guidare” non solo nella dimensione della singola ideatività artistica d’ogni artefice coinvolto, ma anche – e primariamente – di fungere da palesi referenti per chi cerchi delle “prese di posizione” non ambigue nell’incerto panorama intellettuale del mondo circostante.
Il che induce ad inquadrare i processi ideativi e gestuali dei nostri artisti in tassonomie di pregnanza tutt’altro che irrilevante o superficiale, rilanciando, ancora una volta, l’obbligata riflessione sulle categorie del moderno e del post-moderno e sull’imprescindibilità d’ogni vero fare artistico da un pensiero estremamente forte e consapevole. Il tono assertivo che intride questi totem, infatti, pur nei doverosi margini di polisemicità che pertengono a ciascuna opera d’arte (la quale trova sempre e comunque il compiuto completamento nell’approccio interpretativo adottato dal singolo fruitore), non lascia adito alcuno a debolezze cogitative o ad atteggiamenti incerti e pilateschi, rilanciando viceversa il ruolo dell’artista dichiaratamente araldo e vessillifero di critiche, di istanze e proposizioni, quale è stato – non senza errori e ingenuità – nel passato prossimo e remoto e quale dovrebbe continuare ad essere – in spregio alle più becere logiche di mercato – nella stretta attualità.
Muove proprio da queste “energiche” premesse l’impegno progettual-esecutivo dei diciassette partecipanti all’iniziativa, i quali, non a caso, hanno operato una variegata e articolata serie di fabulazioni, in cui la componente della più accesa fantasia visuale non esula però mai da visioni dell’esistente improntate a una debita attitudine riflessiva ed analitica di notevole profondità e di rilevante peso specifico. E tutto ciò, prescindendo da qualsivoglia sterile e obsoleta controversia su tecniche e linguaggi (che infatti spaziano dal segno graffitistico al predomino del colore, dal verbo figurativo alla libera astrazione, dal ricorso al ready made agli inserti polimaterici, in un caleidoscopio di ibridazioni fra grafica, pittura, scultura, uso concreto della parola, tale da condurre a delle installazioni assai contaminate), poiché quello che conta maggiormente è contemperare le esigenze correlate a ben precise cifre estetico-stilistiche e la volontà di rendere “leggibili” le idee sottese ai gesti degli artisti, senza però incorrere in derive iconologiche di tipo semplicistico o riduttivamente didascalico (nonostante l’affioramento, qui e là, di qualche tentazione di siffatto genere) e mantenendo piuttosto il rapporto fra significante e significato entro ambiti semantici non troppo labili, così da indirizzare il focus ottico degli osservatori verso l’obiettivo tematico immaginato.
Totem, dunque, quali ideali “miliaria” che segnino il passo di chi ad essi sappia volgere lo sguardo; inconsueti indicatori di percorsi, la cui “comunicativa” forza di orientamento ed induzione è lasciata – in fondo e come sempre – all’acuità visiva e alla capacità ricettiva di tutti noi, “viandanti” viepiù dispersi e isolati in un “girovagare” senza posa nei troppi territori oscuri dell’esistere.
 
Salvo Ferlito