Graffiti Day - 9 maggio 2009

 
Kairòs: a tempo debito

 

<Llamar o tocar a la puerta> ossia  “suonare lo strumento del nome per far aprire una porta”, usare parole che intimano l’apertura di un passaggio: questo accade nel nominare insieme “graffiti” e “totem. Con sorprendente rapidità siamo indotti ad evocare un tempo della mente che il passare dei secoli non ha mutato nella struttura, ma solo nella forma: quel tempo in cui la rappresentazione nasceva a se stessa, un vero e proprio rito di passaggio, dove l’individuo - sebbene ancora non come individuo, ma come gruppo o clan -  da creatura in simbiosi tra le creature, animali e vegetali, diventava uomo, essere umano.
Nella nostra immaginazione prende di nuovo vita la mano mirabilmente ferma  - per dirlo con le parole di Hardouin - che ha scolpito gli “acrobati” nella grotta dell’Addaura, conferendo loro leggerezza ed eleganza: la dura roccia non l’ha ostacolata, mentre riproduceva una danza o con maggiore probabilità un rito cruento - l’efferatezza di un engramma - che non è rimasto fisso solo nella sua mente, che non è stato nascosto nel ventre della roccia, bensì accessibile alla luce del sole, in tutta la sua perturbante bellezza. Bellezza delle origini.
<Llamar o tocar a la puerta> : nei tratti sottili e superficiali o nel solco profondo lasciati da quella mano, nel cerchio magico di uomini e di animali, immersi nel ciclo del divenire - vita, morte e generazione - c’è tutta la forza del rapporto mistico con la natura, intrisa di forze sconosciute ed extraumane, forze prodigiose e minacciose, senza il cui aiuto la vita non avrebbe potuto perpetuarsi. Un tempo della mente  che si è replicato in mille rituali e manufatti, feticci, maschere-parola. E dai quei recessi più reconditi emergeva “l’anima della boscaglia”- il Totem - una visione in sogno - territorio sconfinato che di quel tempo conserva ancora  intatto tutto il mistero. Dentro il suo perimetro, lungo la verticale del suo moto ascensionale - un cammino dritto che si spingeva fino a toccare il proprio Zenit - s’istauravano parentele di visioni e vincoli di appartenenza che affratellavano gli uomini e sancivano rapporti d’identità.
<Llamar o tocar a la puerta> : i Totem del nostro tempo non risuonano allo stesso modo, benché abbiamo mantenuto il loro scopo - posto che fosse l’unico. Si limitano a gridare la potenza del denaro e della tecnologia, accrescendo lo spazio del profano, ponendosi  al Nadir - al punto più basso. Sono gettati contro di noi, aggressivi. Iniqui e poveri, creano impoverimento. Mercificano la vita. La materia densa dello spirito non appare, non fa capolino. Non si intuisce nessun enigma, solo una tessera opaca. Un babelismo caotico e desolante.
<Llamar o tocar a la puerta>: nelle intenzioni di chi ha voluto questa mostra il totem si riprende il proprio spazio simbolico e rappresentativo. Si offre agli artisti e gli artisti “lo ripensano” e c’è lo restituiscono - il totem prima di assurgere a significato collettivo è qualcosa che prende vita nella nostra intimità più ancestrale - accresciuto nella sua pluralità semantica, nel suo dinamismo, nella sua espressività e spiritualità: oltre la bidimensionalità della tela, come immagine nello spazio.
<Llamar o tocar a la puerta>: Monte Pellegrino come un novello Ziggurat. Si ritorna sulla “terrazza superiore” a tracciare più di una linea, a designare più di un punto di osservazione che ci permetta di guardare al nostro tempo con nuove intenzionalità, con nuova consapevolezza. C’è bisogno di un nuovo patto di alleanza tra gli uomini. E l’arte, nel suo palesarci l’immanenza della nostra esistenza quotidiana, la contrapposizione tra istantaneo ed “eterno”, nell’alimentare domande, fa la sua parte. Kairòs, a tempo debito.
 
Elina Chianetta