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- Kairòs: a tempo debito
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<Llamar
o tocar a la puerta> ossia “suonare lo strumento del
nome per far aprire una porta”, usare parole che intimano
l’apertura di un passaggio: questo accade nel nominare
insieme “graffiti” e “totem. Con sorprendente rapidità siamo
indotti ad evocare un tempo della mente che il passare dei
secoli non ha mutato nella struttura, ma solo nella forma: quel
tempo in cui la rappresentazione nasceva a se stessa, un
vero e proprio rito di passaggio, dove l’individuo -
sebbene ancora non come individuo, ma come gruppo o clan - da
creatura in simbiosi tra le creature, animali e vegetali,
diventava uomo, essere umano.
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Nella
nostra immaginazione prende di nuovo vita la mano
mirabilmente ferma - per dirlo con le parole di Hardouin -
che ha scolpito gli “acrobati” nella grotta dell’Addaura,
conferendo loro leggerezza ed eleganza: la dura roccia
non l’ha ostacolata, mentre riproduceva una danza o con maggiore
probabilità un rito cruento - l’efferatezza di un engramma
- che non è rimasto fisso solo nella sua mente, che non è
stato nascosto nel ventre della roccia, bensì accessibile alla
luce del sole, in tutta la sua perturbante bellezza. Bellezza
delle origini.
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<Llamar
o tocar a la puerta>
: nei tratti sottili e superficiali o nel solco profondo
lasciati da quella mano, nel cerchio magico di uomini e di
animali, immersi nel ciclo del divenire - vita, morte e
generazione - c’è tutta la forza del rapporto mistico con la
natura, intrisa di forze sconosciute ed extraumane, forze
prodigiose e minacciose, senza il cui aiuto la vita non avrebbe
potuto perpetuarsi. Un tempo della mente che si è replicato in
mille rituali e manufatti, feticci, maschere-parola. E dai quei
recessi più reconditi emergeva “l’anima della boscaglia”-
il Totem - una visione in sogno - territorio sconfinato che di
quel tempo conserva ancora intatto tutto il mistero. Dentro il
suo perimetro, lungo la verticale del suo moto ascensionale - un
cammino dritto che si spingeva fino a toccare il proprio Zenit -
s’istauravano parentele di visioni e vincoli di appartenenza che
affratellavano gli uomini e sancivano rapporti d’identità.
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<Llamar
o tocar a la puerta>
: i Totem del nostro tempo non risuonano allo stesso modo,
benché abbiamo mantenuto il loro scopo - posto che fosse
l’unico. Si limitano a gridare la potenza del denaro e della
tecnologia, accrescendo lo spazio del profano, ponendosi al
Nadir - al punto più basso. Sono gettati contro di noi,
aggressivi. Iniqui e poveri, creano impoverimento. Mercificano
la vita. La materia densa dello spirito non appare, non fa
capolino. Non si intuisce nessun enigma, solo una tessera opaca.
Un babelismo caotico e desolante.
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<Llamar
o tocar a la puerta>:
nelle intenzioni di chi ha voluto questa mostra il totem si
riprende il proprio spazio simbolico e rappresentativo. Si offre
agli artisti e gli artisti “lo ripensano” e c’è lo restituiscono
- il totem prima di assurgere a significato collettivo è
qualcosa che prende vita nella nostra intimità più ancestrale -
accresciuto nella sua
pluralità semantica, nel suo dinamismo, nella sua espressività e
spiritualità: oltre la bidimensionalità della tela, come
immagine nello spazio.
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<Llamar
o tocar a la puerta>:
Monte Pellegrino come un
novello Ziggurat. Si ritorna sulla “terrazza superiore” a
tracciare più di una linea, a designare più di un punto di
osservazione che ci permetta di guardare al nostro tempo con
nuove intenzionalità, con nuova consapevolezza. C’è bisogno di
un nuovo patto di alleanza tra gli uomini. E l’arte, nel suo
palesarci l’immanenza della nostra esistenza quotidiana, la
contrapposizione tra istantaneo ed “eterno”, nell’alimentare
domande, fa la sua parte. Kairòs, a
tempo debito.
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Elina
Chianetta
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