Pino  Concialdi EGO ET MEA IMAGO

Pino 

EGO ET MEA IMAGO
L′inquietante auto-ritrattistica di Pino Concialdi, dal 9 al 23 luglio, allo Spazio Bquadro di via XII gennaio a Palermo.

Un intenso rapporto con se stesso, che trova nelle forme della pittura il suo ideale strumento di espressione.
Un dialogo serrato e concitato con la propria interiorità, che mai prescinde, però, da un′acuta e ben ponderata – e, per certi versi, anche spietata – volontà di auto-analisi ed auto-conoscenza. Non tragga, per tanto, in inganno l′orientamento lessicale adottato dall′autore: l′inclinazione per una semiotica di stampo squisitamente espressionista non è infatti una semplice ″scelta di comodo″ – finalizzata ad una manierata ″abreazione″ di contenuti psichici pseudo-inconsci -, ma piuttosto la sciente adozione di un modulo espressivo, col quale operare al meglio l′enucleazione di quei cinetismi intrapsichici, ritenuti esemplificativi del proprio modo di essere ed esistere, e quindi dell′idea di Ego di cui si è portatori.
In tal senso, Pino Concialdi si inscrive a buon diritto, con questa sua articolata e al contempo ossessiva declinazione auto-ritrattistica, in un alveo che muove senza dubbio dal passato prossimo – in particolare dalla tradizione dell′Espressionismo tedesco di Die Brucke, ma anche dagli imprescindibili modelli di Schiele, Schonberg e Munch, e soprattutto dalla fonte d′ogni contemporaneo tumulto di tipo psico-visuale: ovvero il violento cromatismo gestuale di Vincent van Gogh -, ma che ha i suoi obbligati referenti anche nel passato più remoto – per l′esattezza in quella rilevante prassi auto-ritrattistica, che, dall′Umanesimo in poi, ha rappresentato uno dei maggiori strumenti di auto-affermazione adottati dagli artisti -, a dimostrazione e conferma dell′assoluta esigenza di costruire la propria identità artistica sul confronto e l′alunnato – dialettico – con quei maestri precedenti, eletti a ideali referenti e prediletti interlocutori.
Sarebbe, tuttavia, estremamente riduttivo ricondurre il processo ideativo di Concialdi – e la sua conseguente traduzione visuale – in un ambito di semplice ″citazione″ o, peggio ancora, di pura ″imitazione″ dei modelli succitati, poiché il pensare e agire artistici del Nostro vanno ben al di là di questi pur importanti – ma comunque ristretti – ″terreni di coltura″, configurandosi, piuttosto, come una personalissima rivisitazione ed attualizzazione di tali codici linguistici, in grado di conferire una ″forma″ narrativa, stilisticamente compiuta e definita, ai peculiari vissuti di cui egli è depositario e portatore.
Se è vero che le posture in cui si è ripetutamente effigiato rimandano alla ritrattistica più classica – di tre quarti o anche frontalmente rispetto ai riguardanti -, è altrettanto vero che la sintetica costruzione della figura e soprattutto l′incisività ″fisiognomica″ dello scavo psicologico – pur nelle inevitabili tangenze coi modelli beneamati – pertengono a una sfera del tutto autonoma e personale, ove la parossistica esuberanza del colore e il marcato andamento delle pennellate si fanno funzione d′una assai assertiva auto-affermazione, la cui dirompente vis emotivo-visuale ha rari riscontri nel panorama – quanto meno insulare – del momento, costituendo – nei fatti – una cifra estetica difficilmente pareggiabile e dall′assoluta identità.
Nessun ″acritico″ appiattimento su ″exempla″ troppo soggioganti ed insuperabili, dunque, ma, viceversa, una consapevole costruzione pittorica della figura, la quale si faccia vettrice – per scelta dichiaratamente volontaria – d′una ben precisa e definita immagine di sé, con cui mediare e relazionarsi col mondo circostante.
Proprio l′insistita e minimale ″nevrilità″ delle stesure, associata a una scarna e ridotta definizione compositiva – con una rarefazione degli impianti condotta, in più d′una occasione, fino alla fantasmagoria -, si fa così funzione d′una auto-ritrattistica – e, seppur in pochi casi, anche d′una ritrattistica – sfrondata fino alla pura e assoluta essenzialità, capace – come poche – di rendere e consegnare agli osservatori il concreto sublimato dell′interiorità e di dimostrare, in modo inappellabile, fino a che punto si possa tradurre visualmente l′intima natura dei soggetti, anche prescindendo ampiamente da qualsivoglia obbligo di verità ottica.
Un′autentica irregolarità di pensiero e gesto artistici, quella di Pino Concialdi, che conferma, una volta di più, come la reale qualità e il fattivo valore d′ogni artista dipendano assai poco da percorsi formativi ″istituzionali″, essendo sostanzialmente un′inattesa ″alchimia″, riconducibile ad esclusive e premianti doti di natura, coltivate con pervicace – e spesso solitaria – determinazione.