Karoshi – Atti di legittima difesa, Exayroad – Teatro Coppola – Catania

Karoshi – Atti di legittima difesa, Exayroad – Teatro Coppola – Catania
Giovedì 10 maggio, ore 21.

La crisi economico-finanziaria iniziata nel settembre 2008 è solo un pretesto. E’ un pretesto per ricordare al mondo che gli esseri umani – anche nel loro ruolo di lavoratori e quindi sostenitori dell’attuale sistema economico – non hanno alcun peso nella società odierna e che oggi qualsiasi forma di democrazia è gravemente mutilata dall’assoggettamento al sistema di mercato.

Le regole (o meglio, le non regole) mercantili che governano il mondo poggiano su un principio base per il quale è imperativo massimizzare i profitti a dispetto di tutto e di tutti. Nell’ambito lavorativo, come in quasi tutti gli ambiti della vita degli esseri umani, il sistema mercantile – imponendosi come quintessenza della vita stessa – è creatore di molteplici fenomeni che ne rafforzano l’esistenza e ne legittimano il primato che riveste nell’attuale società moderna, soprattutto in occidente.

Il lavoro e i lavoratori pertanto diventano uno degli strumenti in mano al potere del mercato; ma non tutto si riduce a questo: qualsiasi soggetto – sia esso singolo o costituito – può divenire strumento, fosse anche una grande multinazionale – purché vi sia qualcuno capace di usarlo per un proprio fine di mercato, si pensi quindi alla facilità di utilizzo delle piccole imprese: la differenza sta nel fatto che mentre il piccolo imprenditore pagherà direttamente il fallimento della propria azienda, nella grande azienda nessuno dovrà rendere conto di quanto successo.

Concorrenza spietata, precarizzazione, massimizzazione del profitto, esternalizzazione, grado di produttività, ricorso al lavoro nero, noncuranza delle norme di sicurezza, ricatto, spregio della dignità umana, sono solo alcuni degli strumenti concessi in ambito lavorativo a quanti operano nel mercato. Atti di legittima difesa parla di questi strumenti, li analizza e li svela al pubblico, in costante contatto con la megamacchina che ha dato loro la luce: il sistema mercantile.

Nel tentativo di trasmettere il punto di vista degli autori su tali argomenti vi è però la consapevolezza di tutte quelle persone, famiglie, comunità, che ogni giorno ne subiscono l’applicazione implacabile direttamente sulla propria pelle; sono lavoratori specializzati o manager di grandi aziende, piccoli imprenditori o lavoratori pubblici, sono gli immigrati – costretti dal sistema mercantile ultraliberista a lasciare la propria terra – o i nostri figli che a causa del medesimo sistema non vedranno mai concretizzarsi i loro sogni. Sono esseri umani: ne di destra ne di sinistra, ne ricchi ne poveri, ne bianchi ne neri, ne pubblici ne privati; perché per parlare di "mercato" è necessario che tutti si faccia un passo indietro, bisogna mettere da parte ideologie e pregiudizi, nella consapevolezza che le divisioni sono uno degli strumenti più utilizzati dal "sistema".

Atti di legittima difesa non è quindi solo puntare il dito contro chi del lavoro ha fatto uno strumento di beneficio unidirezionale, è anche raccontare le vittime di questa unidirezionalità, la loro quotidianità, le loro speranza, le loro difficoltà, ma in particolare la loro comunanza pur nella diversità: un filo lega le storie dello spettacolo; è un filo di disperazione, di impotenza, ma è anche un filo di difesa e un grido di aiuto: "non ho altri strumenti per difendere la mia libertà e la mia dignità se non la morte"; il suicidio forse, come estrema forma di lotta. La risposta a quel grido ce la danno loro, Bruno, Luigi, Tiziana, Salem, Marco, morti negli ultimi mesi a causa delle mancanze e degli eccessi del mercato del lavoro dopo lo scoppio della crisi economico-finanziaria: un filo ci lega gli uni agli altri, per loro è la morte comune, per tutti noi è la Legittima Difesa.

Il racconto:

Nel centro di Parigi lavora Yonnel, ingegnere per i sistemi aziendali di una grande multinazionale delle telecomunicazioni; a Torino, vive Gianni, magazziniere, portinaio, operaio lavaggista; Ramona è polacca, raccoglie i pomodori di Cosa Nostra per 1 euro e mezzo l’ora nei campi di Vittoria; Margherita, una signora ormai anziana, negli anni settanta fu una delle testimoni al primo processo per le morti causate da malattie contratte sul luogo di lavoro; in provincia di Taranto Giovanni demolisce palazzi partendo dal basso: "si fa prima" – dicono.

Le vicende lavorative e private corrono parallele; pur vivendo distanti tra loro e in diverse epoche, pur non essendone consapevoli, sono legate indissolubilmente.

Il modello del mercato economico liberista tiene le vite delle persone appese a un filo: la paura anima le loro giornate lavorative; c’è chi ha paura dell’ esternalizzazione, chi della precarizzazione, c’è chi subisce la concorrenza spietata, chi la massimizzazione del profitto; Yonnel lavora anche la notte, perché dopo i quarant’anni il rischio di essere considerato meno produttivo di un venticinquenne aumenta, Ramona a fine giornata si concede al suo padrone per non perdere i soldi che servono a suo figlio per studiare, Gianni si improvvisa lavavetri, aiuto cuoco, bussa a tutte le porte per non finire in mezzo a una strada.

I meccanismi che costringono queste persone a sacrificare la propria esistenza al mercato non possono essere sottovalutati. Le loro storie ci aiutano, grazie alla loro "normalità" a comprendere come agisce il sistema economico in cui viviamo, per poter correre al riparo prima che anche il nome di Monica si aggiunga a quello di Luigi o Giovanka.

Monica non è ancora entrata nel mercato del lavoro, la sua vita non è ancora in totale balia di forze distanti dalla sua volontà, ma pur essendo ancora una studentessa il suo futuro di insegnante pare già segnato, e in questo destino è fin troppo vicina a Marco per avere solo ventiquattro anni, è fin troppo simile a Tiziana per non poter avere il diritto di sognare.

L’epilogo è tragico ma allo stesso tempo "statisticamente accettabile per l’indignazione comune". Le vite di lavoro raccontate, devono al lavoro stesso la loro tragica conclusione; chi si suicida, chi è vittima di un incidente sul lavoro, chi di una malattia contratta in fabbrica, chi ucciso perché chiede lo stipendio, chi perché chiede condizioni migliori, chi perché la concorrenza è stretta e bisogna tagliare.

Il background:

La critica al modello capitalista/liberista non è certo un’invenzione degli ultimi anni, ma tuttavia – pur vantando stimati intellettuali al suo seguito – rimane argomento di nicchia, spesso di difficile comprensione ma ancor più spesso di voluta ghettizzazione. Le voci libere che hanno accesso al grande pubblico – specialmente quello televisivo – si contano sulle dita di una mano, censurati dai poteri forti della politica e dell’economia e spesso additati come fomentatori, estremisti, quando non addirittura terroristi, nel continuo e disperato tentativo di non voler riconoscere agli esseri umani – ai cittadini – la capacità di poter decidere autonomamente e negando il diritto alla conoscenza.

Tuttavia è indubbio che il disagio presente nel cittadino medio va crescendo di anno in anno e nei momenti di difficoltà non trova sbocco se non nella paura e nell’innalzamento di barricate sempre più alte tra se stessi e il mondo esterno, non essendo messi nelle condizioni di comprendere la provenienza di quel disagio. La radicalizzazione di questo fenomeno viene anch’essa ridotta a strumento di sostegno del modello liberista lasciando i cittadini in balia di leggi che non comprendono e che non hanno coscientemente contribuito a creare.

Il passato è ricco di elementi e situazioni che ci possono aiutare a chiarire il perché del fallimento del modello del mercato liberista sotto il profilo umano, culturale, sociale, ambientale e perfino economico. Dalla crisi del ’29, passando per le guerre mondiali, per giungere alle crisi petrolifere degli anni settanta, alla deregulation degli anni ottanta, alle crisi degli anni novanta fino a quella del 2008, il sistema di mercato è andato ampliandosi e radicandosi a discapito sempre maggiore delle persone, non solo in quanto esseri umani ma soprattutto in quanto lavoratori.

Il messaggio:

Comprendere che il lavoro e l’essere umano in quanto forza lavoro sono solo degli strumenti per la massimizzazione del profitto può all’apparenza risultare un’ardua impresa. Decriptando i tecnicismi degli analisti e avvicinandosi alla vita quotidiana dei cittadini lavoratori – oggi come ieri – ai loro sogni e alle loro preoccupazioni si vuol tentare un approccio pratico ed emozionale all’argomento.

Si vuol evidenziare la trasformazione del concetto di lavoro e del ruolo del lavoratore e le loro conseguenze; si vuol sottolineare come il lavoro sia sempre più in balia della precarizzazione, dell’informalità, dell’esistenza di regole a-democratiche e a-sociali, come porti alla mortificazione della condizione umana e lavorativa; si vuol puntare il dito contro la violenza implicita dei meccanismi lavorativi basati sulla minaccia del licenziamento, sul lavoro nero e lo sfruttamento, sulla mercificazione del tempo lavorativo, sulla competitività a ogni costo. Nuove forme di schiavitù invadono le nostre vite, spesso nell’inconsapevolezza di ampie fasce sociali e nella noncuranza – quando non nella connivenza – della classe politica, anch’essa spesso strumento del mercato.

Se l’orizzonte sembra tetro tuttavia sono gli stessi piedi d’argilla dell’economia di mercato liberista e la sua senilità ormai avanzata che lasciano spazio alla speranza.

Il messaggio – di speranza per l’appunto – sta nella comunanza della morte delle persone raccontate nello spettacolo e nella causa di quella morte; può sembrare un paradosso ma ciò di cui il mercato ha più paura non è altro che l’essere umano, non tanto come lavoratore, ma come essere sociale. Il comune denominatore che lega i lavoratori gli uni agli altri (siano essi dipendenti o autonomi, pubblici o privati) – e che in vita fa fatica a essere percepito e seguito – nella morte emerge in tutta la sua chiarezza. Far si che quella comunanza venga compresa prima dell’atto estremo è il nostro compito.

I personaggi:

Le persone di cui parla lo spettacolo non hanno nulla in più o in meno di tutte le migliaia di persone che sono vittime del lavoro, oggi come nel corso degli ultimi secoli. La decisione di parlare di alcune particolari situazioni scaturisce semplicemente da un lungo percorso di ricerca che ha portato ad "affezionarsi" alle storie di talune persone, essendo esse lo specchio dei concetti che si intende portare a conoscenza del pubblico.

Si raccontano le vicende dei tessitori dell’ottocento in Francia, le vittime inconsapevoli della prima guerra mondiale, i superstiti delle fabbriche della morte nel secondo dopoguerra, il mutamento forzoso della vita dei contadini nel sud del mondo, le storie di quanti sbarcano sulle coste d’Europa e sono vittime della mafia e del caporalato, le cosiddette morti bianche, la condizione dei lavoratori nell’era della flessibilità e della società 7×24, il suicidio come ultima forma di libertà, e molto altro ancora. Si parla dell’operaio e del manager, dell’immigrato e del contadino, non ci sono e non ci vogliono essere contrapposizioni ideologiche o di classe tra i lavoratori dato che – proprio perché lavoratori – sono tutti vittime della società mercantile.

 

Tutti gli spettacoli servono a finanziare la ricostruzione del Teatro
Ingresso libero con sottoscrizione volontaria

 
teatro coppola
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Catania  
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