ORBITA – Giuseppe Benvenuto e Michela Laporta – Contemporanea Galleria d’Arte – Foggia

Mostra personale a cura di Giuseppe Benvenuto e Michela Laporta 

 Contemporanea Galleria d’Arte – viale Michelangelo, 65 – FOGGIA

7 – 31 maggio 2022

Inaugurazione: sabato 7 maggio, ore 18:30

La Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia, nella giornata di sabato 7 maggio, inaugurerà “ORBITA”, una mostra personale di Cristina Mangini, giovane artista barese che si contraddistingue nel panorama contemporaneo per una sorprendente ed innovativa creatività. Si tratta della prima artista emergente ad esporre presso la Galleria foggiana di Giuseppe Benvenuto, al quale è affidata la cura della personale, assieme a Michela Laporta. Sarà possibile fare esperienza della minuziosa verve inventiva dell’artista fino al 31 maggio, esplorando un percorso espositivo di circa venti smalti su tela, parte di una serie inedita intitolata “Around”, il cui focus si incentra sull’elemento della ripetizione ad andamento circolare. 

Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bari ed essersi specializzata in Decorazione, la Mangini abbraccia la pittura, la fotografia e l’installazione, in nome di una produzione poliedrica in continuo rinnovamento e sperimentazione. Prende parte a numerose mostre nazionali ed internazionali e residenze artistiche, tra cui il Progetto Monet e la Biennale di Arte Contemporanea “Mulhouse 012” in Francia. Riceve importanti premi in occasione di collettive tenutesi a Madrid, Lisbona e negli Emirati Arabi. Nel 2021 è selezionata per esporre ad Arte Padova, ArtParma Fair e PaviArt.

Nella serie “Around” la Mangini dà prova del suo capillare virtuosismo disegnativo nei soggetti eterogenei tratti dal mondo quotidiano, vegetale ed animale, disposti entro uno spazio sospeso, quasi mentale, resi con un sapiente uso delle ombre, tali da creare uno spiccato senso della tridimensionalità. Come segni simmetrici di un vissuto, di una memoria, di un principio di relazione o di un legame di appartenenza, gli oggetti ripetuti in maniera ritmica e costante si esprimono mediante una palette pastello dai colori brillanti ed una meticolosa calibrazione delle sfumature. Attraverso la ripetitività, l’artista scandisce il tempo, lo cadenza ritmicamente, avvalendosi di un gioco fatto di pieni e vuoti, pur lasciandolo indefinito nel suo moto perpetuo. L’elemento reiterato determina un tempo dell’osservatore continuo e circolare che torna sul punto di partenza per poi ripartire, confondendosi con il punto di arrivo, nell’ottica di un eterno ritorno dal sapore nietzschiano in cui tutto è destinato a ripetersi. Ciò è sapientemente descritto dalla curatrice Michela Laporta, la quale ritiene gli “Around” dell’artista “tra le più poetiche e moderne interpretazioni del concetto di eterno ritorno. Costantemente in progress, essi sono estetizzazione del quotidiano e visionaria celebrazione di cose, oggetti, strumenti, utensili e merci appartenenti al repertorio dell’ordinario e alle dinamiche che legano le relazioni tra individui. Un campionario di memorie emozionali installate in una spazialità dal valore ancestrale che, nel circoscrivere un tempo circolare, generano una composizione pensata per essere una serialità interrotta e discontinua; un’individualità collettiva, in cui ogni elemento è un potenziale soggetto dotato di una personalità muta e ieratica, inserito in un moto dove l’inizio coincide e si ricongiunge con la fine”.

L’atemporalità e la circolarità, derivate da un format seriale e dinamico, pensano l’opera come uno spazio che documenta la sedimentazione del tempo, trasformandolo in arte. Il movimento curvilineo, continuando a ripetersi e a girare su se stesso, assolve alla negazione di un fine prestabilito, dunque come aveva affermato Montaigne, “non c’è alcuna esistenza costante, né del nostro essere né di quello degli oggetti. E noi e il nostro giudizio, e tutte le cose mortali andiamo scorrendo e rotolando senza posa”. E se gli orologi hanno cancellato l’eternità, l’arte di Cristina Mangini la riporta in auge, disegnando un tempo senza fine, concepito come un flusso composto da un gruppo armonico di corpi minori. Usando le parole di Walter Ong, riesce così ad addomesticare il tempo, conferendogli una sua esteticità e trattandolo come uno spazio: è in questo modo che l’unità perduta a livello temporale è ripristinata a livello spaziale.

Con riferimento all’Enciclopedia delle arti contemporanee, a cura di Achille Bonito Oliva, che indaga il tempo come componente essenziale della ricerca artistica, quello che emerge dai lavori della Mangini può essere interpretato come un tempo interiore, vicino alla “coazione a ripetere” freudiana e alla grammatica dell’inconscio, incentrata su un modello non-lineare del tempo del soggetto, il cui corso sequenziale del vissuto è frantumato; ed altresì assimilabile ad un tempo proustiano in cui il passato fluisce nel presente, determinando una condizione in cui è impossibile sapere con certezza in quale dei due tempi ci si trova. Questo tempo interiore è lo stesso che la avvicina a De Chirico, artista nelle cui opere, come afferma Franco Rella, ricerca un misterioso “tempo-ripetizione”, in conflitto con il tempo lineare e cumulativo. Allo stesso modo le tele dell’artista, in accordo con i suoi oggetti poliedrici – dal greco “polýedros”, “dalle molte facce” – suggeriscono un tempo inclinato, inaugurato da Einstein, grazie al quale il mondo scopre finalmente la relatività e tutto comincia a dipendere dallo sguardo dell’osservatore: nella pittura compaiono orologi liquefatti e nella letteratura i punti di vista dei personaggi si moltiplicano. La figura del cerchio trova corrispondenze anche in ambito letterario nella scrittura di Joyce, che scardina la nozione di un tempo come una successione cronologica, a favore visioni fluide dei movimenti della psiche, e di Pirandello, fautore del tema della moltiplicazione dei punti di vista, derivato dai concetti fondamentali dalla fisica. 

Regista di un mondo di cui resta la traccia dell’azione ordinatrice della presenza umana, Cristina Mangini permette così ai suoi oggetti di interfacciarsi in un dialogo speculare con lo spettatore – al quale sono offerte diverse prospettive del medesimo oggetto – e fra gli oggetti stessi. Questi ultimi hanno dei significati in cui chiunque può rispecchiarsi e sono la traccia di un vissuto in cui il passato non è staccato dal presente e rivive costantemente nella psicologia individuale e collettiva. Tratti dalla quotidianità con cui tutti abbiamo avuto un approccio, si legano a particolari stati emotivi in cui ognuno può rivedersi e rivedere propri ricordi. Tutto nasce come un dialogo, fili invisibili legano il nostro sguardo al supporto e alla nostra personale esperienza, legandosi alla memoria. Hanno luogo così relazioni ed è proprio di relazioni che i lavori di Cristina Mangini ci parlano: ogni oggetto è appigliato a qualche parte dentro di noi e rimane, oltre la persona che lo possiede. 

Ogni opera esposta all’interno del percorso espositivo è parte di un itinerario che comunica con le altre. Si nasconde qui il significato profondo di ogni produzione seriale dell’artista: osservare e vivere una mostra diviene un altro modo per scrivere in quanto le opere esposte, nel loro svolgimento, suggeriscono una frase, un racconto, un’esperienza. Accanto al tempo della rappresentazione si colloca perciò anche quello della contemplazione ed è nel silenzio che tutto emerge, lasciando sopraggiungere alla mente i significati più inediti ed attivando tutti i sensi, fino a farci sentire il suono delle viti, il rumore dei mattoni e la consistenza della polvere.

Sara Maffei