Om Bosser – Hikikomori, Coloro Che Vivono Rintanati in Casa – Banca Sella – Torino.

Om Bosser – Hikikomori, Coloro Che Vivono Rintanati in Casa – Banca Sella – Torino.
HIKIKOMORI, COLORO CHE VIVONO RINTANATI IN CASA

In questa personale, Om Bosser espone il lavoro degli ultimi anni (una ventina di acrilici su tela, alcuni “disegni al nero” e, qualche multiplo).

Pare che in Giappone siano almeno 700.000. Una cifra piuttosto ragguardevole, anche se contare e raggruppare gli Hikikomori non è poi così facile. Secondo i media giapponesi questo termine è stato perfino aggiunto nell’edizione 2010 del Dizionario Oxford di Inglese, forse perché, nonostante si tratti di un fenomeno nato in Giappone alla fine degli anni ’90, questo stile di vita segregata, comincia a prendere forma in maniera analoga anche nella vecchia Europa. 

“Ritiro sociale”, “Chiudersi in se stessi”, “Chiusi dentro ”ecco alcuni dei possibili modi in cui tradurre il termine e le caratteristiche principali di chi si considera Hikikomori. Per la maggioranza si tratta di persone dai 16 ai 39 anni fra cui pochissime donne,  ragazzi che eludono la società, che non vogliono o riescono ad affrontare la partecipazione sociale.

Si chiudono in casa, e la vita si svolge all’interno della propria stanza, per mesi o addirittura anni. Non vanno più a scuola né all’Università, non hanno un lavoro né lo cercano.

Ma al riparo dagli sguardi altrui, segregati all’interno di una tana rassicurante e familiare, leggono riviste, giornali, libri, navigano sul Web, gestiscono blog e comunicano fra loro. Una piccola-vasta comunità, molto particolare.  Il Giappone, si sa, è una società singolare dove esiste un’architettura sociale del tutto particolare ed i giapponesi tracciano spesso tendenze, mode e comportamenti sociali difficilmente leggibili per noi occidentali. 

Spesso però, ciò che accade in Giappone arriva dopo qualche anno anche da noi, in maniera leggermente riveduta e corretta ma ci coinvolge. E’ stato così per l’uso ormai ossessivo del cellulare con cui impostare e vivere rapporti interpersonali, scrivere anche racconti e romanzi, per la diffusione di anime, manga e video games, per il fenomeno del bullismo. Quest’ultima forma di violenza psicologica e fisica, che in giapponese si chiama Hijime, è probabilmente una delle cause dell’evolversi del fenomeno della reclusione sociale.

Alcune indagini svolte da esperti del Ministero della Sanità Giapponese, mostrano come molti Hikikomori abbiano subito episodi di bullismo quando frequentavano le scuole elementari, medie o alle superiori. Gruppetti di ragazzi, loro compagni di scuola, fisicamente forti e prepotenti ne hanno abusato psicologicamente, prendendoli in giro, deridendoli di fronte agli altri,  facendoli sentire stupidi ed inutili.

“Non sono molto bravo a comunicare con la gente”, questa è una delle risposte più comuni date dagli Hikikomori quando gli viene chiesto di spiegare il perché del loro  auto- imposto isolamento.

A questo si aggiunge che molti di loro anche se fiduciosi nelle proprie abilità di comunicazione, non ne sentono semplicemente il bisogno.  “Ho partecipato ad un programma rivolto a noi”, racconta Hiroshi Tomishige nel suo blog scritto in inglese, un sito che parla proprio della sua esperienza di reclusione sociale in Giappone, “Mi sono chiuso dentro perché, anche se può sembrare strano, non mi conosco.

Chiuso nella mia stanza, lavoro al mio sito web, studio inglese tutti i giorni, faccio le pulizie, ma non me la sento di cercare un lavoro e non sono capace a smettere di essere un Hikikomori”. Nel Paese del Sol Levante hanno dato un nome a questo disagio contemporaneo, esiste una letteratura interessante sul fenomeno ed i protagonisti viaggiano e creano virtualmente, pur non uscendo di casa. Qui da noi ne sappiamo molto meno, non esiste ancora una categoria ben definita ma, attenzione pensandoci meglio, chi non ne conosce qualcuno?
Fabiola Palmeri

Sono anni, precisamente dal 1986 (quando ho iniziato il mio lavoro sul “DILEMMA DEL PORCOSPINO”), che avevo in mente questa mostra.

Un articolo su “LA REPUBBLICA” di qualche tempo fa intitolato: HIKIKOMORI, alias: coloro che vivono rintanati in casa, mi ha fatto decidere.

I giapponesi, su questo argomento, sono molto più integralisti di noi occidentali come ci racconta Fabiola Palmeri (nota giornalista, esperta di cultura nipponica).

Io, mi limito a raccontarVi la mia esperienza sia personale/artistica, che medica. Ho incontrato, nel corso della mia esistenza – compreso me stesso – un’infinità di persone che oggi verrebbero diagnosticate come “border”.

“(…) In una gelida giornata d’inverno, due porcospini pieni di freddo si strinsero l’uno all’altro per riscaldarsi. Ma si accorsero  di pungersi reciprocamente con gli aculei; allora, si separarono e, così, sentirono nuovamente freddo. Prova e riprova, i porcospini riuscirono a trovare quella giusta distanza che consentiva loro di scambiarsi un poco di calore senza pungersi troppo ”. Questo racconto di Schopenhauer si presta assai bene a considerazioni circa il conforto che deriva all’uomo dell’intimità.

Fino a che punto, cioè, possiamo stare vicini senza interferire l’uno con l’altro?
Di quanto calore abbiamo bisogno?

Che cosa è necessario fare per vivere insieme senza danneggiarci troppo?

Questo è il “Dilemma del porcospino”. Esso si presenta nella sovrappopolazione delle nostre città. Fa parte dell’accresciuta interazione dovuta al viaggiare sempre di più, ai mezzi di comunicazione, ecc. Il “Dilemma del porcospino” si è venuto intensificando perché, sempre più e sempre più spesso, ci interessiamo l’uno dell’altro. E quella che può sembrare l’ovvia medicina – cioè, una maggiore distanza – talvolta non è applicabile, mentre, tal altra è addirittura indesiderabile, perché la conseguente spersonalizzazione consente troppo poco calore umano.

Nelle nostre consuetudini così intricatamente strutturate, la personalità e i suoi disordini sono più elusivi, meno evidentemente singolari. Gli psichiatri sostengono che le psiconevrosi sono state ampiamente sostituite da disordine del carattere.

Oggi, invece, sempre più le famiglie si spostano, i bambini crescono in comunità differenti, si allontanano dalla famiglia e dagli amici, e spesso, finiscono in questa o quella grande città, mantenendo relativamente pochi legami con chicchessia.

I legami attenuantesi della religione, la perdita di ruolo da parte di persone quali padre, madre, il medico di famiglia, l’impossibilità di mantenere amicizie strette, l’indebolimento dei vincoli matrimoniali, la relativa “stranezza” di chi ci circonda, hanno favorito nella maggior parte delle persone, rapporti superficiali.

Gli uomini sembrano possedere senza limiti la capacità di ingannare se stessi, e di farlo scambiando le loro stesse menzogne per verità. È a mezzo di questa mistificazione che raggiungiamo e conserviamo un assestamento, un adattamento, la socializzazione.

Dobbiamo cominciare con l’ammettere, e con l’accettare persino, il fatto della nostra violenza anziché distruggerci ciecamente con essa, e poi dobbiamo renderci conto che la nostra paura di vivere e di amare è altrettanta profonda di quella della morte.

Questo è il significato dei lavori esposti in questa mostra.
Om Bosser

EVENTO/TITOLO: HIKIKOMORI, coloro che vivono rintanati in casa
ARTISTA: Om BOSSER
OPENING: giovedì 30 settembre 2010, alle ore 17
DATA DI CHIUSURA: 26 ottobre 2010
LUOGO: Torino, BANCA SELLA, Piazza Castello, 127
ORARIO APERTURA: dal lunedì al venerdì: 8,30/13,25 – 14,40/15,40
INGRESSO: Libero
CATALOGO: in sede
CURATORE: Patrizia FISCHER