Al femminile – Fondazione Cariverona – Urbs Picta – Verona

Fondazione Cariverona in collaborazione con Urbs Picta apre al pubblico nel fine settimana del 11 e 12 marzo, AL FEMMINILE, un percorso di opere della propria collezione riguardanti la rappresentazione della donna nei secoli, per esplorarne i diversi approcci a livello di tecnica artistica ma soprattutto il mutare nel tempo della relazione tra arte e femminile.

Sabato 11 e domenica 12 marzo la sede di via A.Forti 3/a ospiterà un fine settimana di talk, laboratori, visite guidate e musica nell’ambito del programma della manifestazione 8 MARZO 2023. “La Rivoluzione è Donna”, promossa dagli Assessorati Parità di Genere e Pari Opportunità del Comune di Verona.

Al femminile

“Tutto ciò che passa non è che un simbolo, l’imperfetto qui si completa, l’ineffabile è qui realtà,

l’eterno femminino (Ewigweibliche) ci attira in alto accanto a sé”[1]

L’eterno femminino, come noto, è un concetto introdotto da Goethe nel finale del suo monumentale Faust (1832), quando il protagonista, l’archetipo dell’alchimista rinascimentale, dannato nella precedente versione cinquecentesca di Marlowe, viene salvato dall’intercessione di Margherita e della Vergine Maria. Non si tratta solo, quindi, di fascino femminile, ma di femminile nella sua antica concezione sacrale, simbolo di un potere salvifico, mistico-spirituale.

Una concezione che, se codificata da Goethe, rimanda a un’ampia cultura preesistente e poggia, per molti versi, sulle letture più iniziatiche dello stilnovismo italiano e della Commedia dantesca, dove la donna amata assume spesso valenze filosofiche di mediatrice della sapienza divina. Si tratta di una visione non solo letteraria, che anzi ha avuto una lunga preminenza nella tradizione delle arti visive, in particolare dal Rinascimento in poi, quando la rinascita delle arti fu segnata anche dal ritorno del culto del nudo classico femminile come sinonimo di purezza e perfezione. La continuità artistica dell’eterno femminino così inteso, viene poi spezzata per certi versi dall’avvento delle Avanguardie storiche, all’inizio del Novecento, nell’ambito di una generale decostruzione della figura che aprirà la strada a quei nuovi paradigmi che informano l’arte del Novecento e più in generale la contemporaneità, svincolando l’arte dalla rappresentazione per assegnarle nuovi valori e ruoli ma svincolando anche la donna dal suo antico ruolo di musa per farne soggetto attivo e operante.

Al femminile propone una selezione di opere della collezione di Fondazione Cariverona che hanno a che vedere con la rappresentazione della donna nei secoli esplorandone i diversi approcci a livello di tecnica artistica ma soprattutto il mutare nel tempo della relazione tra arte e femminile, che accompagna una trasformazione sociale e culturale del ruolo e dell’immagine della donna. Da icona sacra in epoca medievale a figura allegorica in epoca moderna, da musa a figura decadente tra Ottocento e primi del Novecento, in una vasta gamma di sfumature e di immaginari che dalla pittura religiosa a quella di storia passa attraverso la ritrattistica e arriva alle sperimentazioni delle Avanguardie storiche fino alla contemporaneità, con una progressiva emancipazione che si incarna nel lavoro di artiste che hanno trasformato la figura femminile da oggetto della rappresentazione a protagoniste di una protesta femminista che passa anche attraverso l’arte.

L’allestimento di sviluppa in due ambienti, la Sala Basaldella e la Sala Polifunzionale, e in entrambi i casi ruota attorno a una triade femminile. Nel primo ambiente, La canzone del Piave (1929) di Ettore Beraldini rivisita simbolicamente tre fasi e tre ruoli della vita della donna: una bambina, orfana di guerra, seduta al pianoforte in un candido abito bianco intona la famosa composizione La leggenda del Piave (1918) di E. A. Mario, a cui allude il titolo dell’opera, mentre una giovane donna e un’elegante signora si mostrano assorte nel malinconico ascolto. La tela, testimone di un approccio chiarista alla pittura sposato da Beraldini dopo gli esordi veristi, veicola attraverso le tre figure femminili una simbolica allegoria postbellica che suggella sia il momento storico che il sentimento condiviso di perdita e rassegnata malinconia. Significativamente sembrerebbe che l’artista abbia voluto rappresentare nelle due figure ai lati del pianoforte la madre Giulia e la moglie Clara.

Se in questo lavoro la ripresa di spalle della bambina ci nega la visione del volto, al ritratto giovanile e fanciullesco sono dedicate, invece, le opere di Angelo dall’Oca Bianca, Alfredo Savini e Cagnaccio di San Pietro. Il veronese dall’Oca Bianca propone, nel suo Ritratto di giovane donna (1875), tutta la sua fascinazione per la bellezza femminile, più volte indagata attraverso uno stile ritrattistico che privilegia la spontaneità delle pose e la freschezza dell’espressione, secondo una tendenza, tipica dell’artista, che privilegia il realismo e la pittura dal vero. L’eterea bellezza femminile è protagonista anche dell’opera di Alfredo Savini Figura femminile tra i gigli (1989-1900): in un raffinato paesaggio all’aperto, studiato dal vero attraverso l’en plein air, una giovane donna posa immersa nel fogliame e nei fiori in una fusione idilliaca. I gigli, in particolare, ne accentuano il candore della pelle e ne simboleggiano la purezza, richiamata anche dall’aureola di luce che ne circonda il volto. Cagnaccio di San Pietro, infine, ci propone una visione incantata, propria del clima del Realismo Magico a cui appartiene, di una bambina ripresa in primo piano assorta in una contemplazione laica carica di stupore e incanto. Come riassume l’ossimorica definizione del movimento, infatti, questa corrente cerca di cogliere il senso magico della quotidianità, catturandola con una resa minuziosa del dettaglio, curata con una tale definizione da renderla surreale, come sospesa in una dimensione altra. Nel dipingere questa realtà incantata, “il pittore si pone di fronte a essa con lo stupore e la naturalezza di un bambino”[2]. In questa Contemplazione (1929) il soggetto dell’opera non solo svolge l’azione descritta dal titolo, ma ne diventa al contempo personificazione allegorica.

Al tema della madre rimandano, invece, opere come La madre del pittore mentre cuce (1908) di Pio Semeghini, in cui ritorna la stessa attenzione per l’autobiograficità dei soggetti de La canzone del Piave, o come Hommage à un humaniste (1933) di Mario Tozzi, vero rebus di significati nascosti, che sembra alludere all’educazione di un giovane in una reinterpretazione del soggetto classico umanistico riconducibile al clima del Realismo Magico italiano. La Madonna con bambino di ambito fiorentino datata 1290-1295 è riferibile, invece, alla più tradizionale e sacra identificazione della donna con il ruolo della madre. Il soggetto religioso, realizzato con tempera su tavola, rappresenta le due figure strette in un tenero abbraccio a sottolineare l’umano legame affettivo tra madre e figlio nonostante il tipico fondo oro medievaleggiante contribuisca a derealizzare la scena attribuendole un significato allegorico e universale. A fare da contraltare a questa scena materna, sempre nell’ambito della pittura sacra, La Maddalena Penitente (1967) di Giovan Gioseffo Dal Sole testimonia un mutato clima culturale, in cui nell’affrontare il tema religioso, l’artista si abbandona al pathos della scena e alla sensualità della donna. La Maddalena penitente è la figura femminile più diffusa dopo la Madonna nell’iconografia cristiana: per la sua doppia natura di peccatrice e di donna redenta, è considerata più vicina alle vicende e alla natura umana e per questo è una delle sante più venerate.

Torniamo alla contemporaneità con la La famiglia Consolaro Girelli o Il tè (1916) di Felice Casorati in cui la donna conserva lo status di madre per collocarsi in un contesto borghese di inizio secolo in questo ritratto della famiglia dell’ingegnere veroneseFausto Consolaro Girelli. Qui, a differenza degli altri ritratti noti del periodo veronese di Casorati, i personaggi non sono in posa, ma intenti e completamente assorbiti dal quotidiano rituale famigliare che ruota tutto intorno alla figura del figlio in un gioco di sguardi e gesti. Il tavolo come spazio di condivisione e relazione diventa, poi, luogo tematico in altre opere come Dopo colazione (1925) di Giuseppe Zancolli, Donne al tavolino (1953) di Massimo Campigli e Il pizzo (2012) di Silvia Giambrone. Nel primo caso Zancolli celebra la figura della moglie in un contesto quotidiano e famigliare simile a quello già incontrato nella tela di Casorati ma reso con una spontaneità e una naturalezza che sono testimoni del gusto tipico dell’artista veronese. Qui l’attenzione è tutta indirizzata alla figura femminile, che rivolge lo sguardo direttamente a noi accaparrandosi l’intero primo piano. La figura maschile sullo sfondo, probabilmente il padre, è solo accennata, al punto da uscire dalla composizione per lasciare pieno protagonismo alla donna. In Donne al tavolino di Massimo Campigli è descritto quell’eterno femminino che abbiamo inizialmente richiamato: intimo e arcaico, proprio come lo stile pittorico a cui l’artista fa riferimento. Quasi ossessionato dalla figura femminile, Massimo Campigli cercherà per tutta la sua carriera di racchiuderne in pittura l’essenza interiore, verso un’impossibile forma definitiva che rappresenti o meglio significhi una donna. Ciò che ne deriva sono figure sospese in un indefinito spazio metafisico dove non esiste temporaneità, in cui l’arte cubista del Novecento incontra un gusto antico e arcaico di fascinazione egizia ed etrusca. La sua pittura assoluta e meditativa trasforma la figura femminile in un segno archetipo, idolo dell’eternità e simbolo dell’origine stessa del mondo. Con Silvia Giambrone arriviamo a un vero e proprio ribaltamento del paradigma: unica artista donna di tutta la mostra, ci offre una visione al femminile del suo ruolo e significato sociale. Le due versioni de Il Pizzo (2012), appartenenti a una serie di cinque riproduzioni, nascono dalla lavorazione a collage di fotografie del matrimonio dei genitori. L’artista agisce in particolare sul volto della madre sul quale applica un merletto di pizzo blu. Il ricamo, infatti, è considerato da sempre pratica artigianale prevalentemente femminile, tanto da essere una delle doti richieste alle ragazze di buona famiglia che dovevano incarnare il ruolo dell’ottima madre-moglie. La serie fotografica gioca sul significato linguistico del titolo ed evoca una doppia chiave di lettura ponendoci un quesito esistenziale: qual è il prezzo da pagare per ottenere la protezione che l’aderenza a un certo ruolo sociale garantisce? Giambrone fa riferimento al concetto di matrimonio come estorsione, come condizione obbligata e da sempre considerata traguardo irrinunciabile per la realizzazione esistenziale della donna.

Nella Sala Polifunzionale è Guido Trentini a proporci una triade al femminile con il suo Nell’orto (1928) in cui il tema dell’armonia tra l’arte e il lavoro manuale è reso ambientando tre pseudo muse contemporanee in un contesto umile e quotidiano che rinuncia a qualsiasi aulicità per celebrare invece un modello femminile più vicino e vero. Si tratta di un’opera fondamentale nella produzione dell’artista anche perché si colloca in un particolare momento di evoluzione in direzione novecentista del suo linguaggio pittorico. Il pittore, che nel 1926 aveva declinato l’invito a partecipare alla I Mostra del Novecento Italiano si appresta a prendere parte alla seconda importante manifestazione del movimento di Margherita Sarfatti. Sua anche Figura in piedi (1918), probabilmente un ritratto della sorella Alfa, immortalata in piedi in una posa di tre quarti e testimone di un’età di passaggio -non più bambina e non ancora donna- di cui si coglie tutta la malinconica consapevolezza nello sguardo silenzioso e una malcelata tensione emotiva nella mano.

Al contesto quotidiano e contadino fanno riferimento anche le Lavandaie (1924) di Alfredo Savini, mentre, come nella Sala Basaldella, troviamo qui altri esempi di ritratto giovanile nelle tele di Domenico Scattola, Ettore Beraldini e Antonio Nardi. La Giulietta nel prendere il sonnifero (1846) di Scattola affronta temi di gusto romantico che derivano dalla fascinazione dell’artista nei confronti di Francesco Hayez: Giulietta è una bambina con lo sguardo che vaga sognante, divisa tra la fantasticheria e la disperazione, la cui essenza terrena viene trascesa dalle proprietà formali del mito costruito proprio in quegli anni intorno alla tragedia shakespeariana in un tripudio di velluti, mobili antichi e bouquet di fiori. Ettore Beraldini, invece, ci propone una meditabonda ragazzina in contesto bucolico nel suo L’uliveto (1935). L’insolita posa della fanciulla, appoggiata a un esile tronco d’ulivo, le dita della mano destra sull’anulare sinistro e lo sguardo concentrato sul gesto che sta compiendo, rivelano l’originario soggetto del dipinto: il quadro nasce, infatti, come interpretazione in chiave intimista del rito di massa propagandato dal regime con lo slogan “oro alla patria” e culminato nella “giornata della fede” il 18 dicembre 1935. Nel paesaggio studiato en plein air l’artista inserisce anche un’ara sbrecciata, su cui si legge l’iscrizione “Pro summa/ fide/ in [sic] summus/ amor”, desunta dalla lapide apposta dai veneziani nel 1592 sopra la porta della loggia di Fra Giocondo, motto che in questo contesto può alludere al dono delle fedi nuziali alla patria. Antonio Nardi, infine, ritrae una pensosa bambina in La figlia del campagnolo (1910 ca.) lasciando che lo sguardo della piccola vaghi nel vuoto oltre il limite della tela in una posa di tre quarti che fa da pendant alla figura de L’inverno di Cagnaccio di San Pietro in cui alla giovinezza del soggetto di Nardi si contrappone l’umile popolana, consumata dallo scorrere del tempo, che cerca di scaldarsi le mani stringendo una teiera. La convivenza irrisolta di contrasti, come la vita nel suo scorrere quotidiano, è un soggetto costante del lavoro di Cagnaccio, che qui fa coesistere la delicata trama floreale del foulard della donna con la durezza delle mani e il volto stanco e segnato.Al genere della ritrattistica appartengono anche i lavori di Carlo Sbisà, Pietro Antonio Rotari e Sebastiano Lazzari che rappresentano, a quasi sue secoli di distanza, giovani donne abbigliate alla moda del tempo. Ritroviamo poi l’iconografia religiosa nella rappresentazione de La vocazione di Santa Rosalia di Antonio Bellucci. Il dipinto, comparso per la prima volta in un’asta londinese, viene reso noto al pubblico in occasione della mostra di Rovigo dedicata a Mattia Bortoloni e al Settecento veneto tra Piazzetta e Tiepolo[3]. L’opera in quell’occasione fu esposta come Allegoria della Vanità (Maddalena in atto di pentirsi). Tutto faceva pensare che la Santa raffigurata fosse una Maddalena: la cerimoniosa toilette, l’apparizione del Crocefisso e la rappresentazione della vanità delle cose terrene. Solo successivamente viene identificato il corretto soggetto dell’opera grazie a un documento rinvenuto nella Biblioteca Estense di Modena in cui è lo stesso Bellucci a descrivere i soggetti delle proprie opere. Rosalia, giovane nobile palermitana della famiglia dei Sinibaldo, esponente della corte angioina, è seduta alla sua ricca toilette a prepararsi per incontrare il futuro sposo Baldovino. Mentre un servo moro le sta offrendo su un vassoio i gioielli con cui adornarsi, invece di vedere la propria immagine riflessa nello specchio, le compare Cristo crocifisso[4].

Una testimonianza della presenza femminile come figura allegorica e mitologica trova infine ampio spazio nelle opere di Jacopo Amigoni e Alfredo Savini. La Venere e Amore (1739-1740) di Amigoni è un prodotto del periodo trascorso dall’artista nelle isole britanniche (1729-39), quando Amigoni eseguì numerosi dipinti di tema mitologico, assecondando il gusto galante e arcadico in voga nella pittura francese, ma di diffusione europea. L’opera, di ispirazione classica, raffigura la dea Venere, per l’esattezza il momento in cui, distesa in una radura, sta porgendo una freccia al figlio Amore (Eros o Cupido) librato in aria. I due Studio per Sibilla di Alfredo Savini, invece, fanno riferimento a una commissione in cui l’artista, con il supporto di alcuni allievi dell’Accademia Cignaroli di Verona, affresca, intorno al 1910, la loggia della villa appartenente alla famiglia Guarienti di Brenzone, a Punta San Vigilio (Garda). La parte centrale della loggia è costituita da una serie di sei rombi, al cui interno sono raffigurate tre coppie di allegorie di elementi naturali. Gli spazi fra le allegorie sono occupati da figure femminili che prendono le sembianze di Sibille, alcune delle quali sono realizzate sulla base di questi studi[5].


Al femminile

un progetto di Fondazione Cariverona in collaborazione con Urbs Picta

Direzione artistica e curatela

Jessica Bianchera

Mediazione culturale e programma educativo

Valeria Marchi (coordinatrice)

Laura Pernechele

Alessia Rodighiero

Arianna Tait

Grafica e comunicazione

Sindi Karaj

Dal 11 marzo al 30 settembre 2023, dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 18.00 (visitabile la sola Sala Basaldella)

SABATO 11 MARZO

ore 10.00 Visita guidata gratuita a cura di Alessia Rodighiero

ore 11.00 Talk: Il potere psichico dell’arte con Silvia Giambrone e Luigina Mortari

ore 15.00 Visita guidata gratuita a cura di Alessia Rodighiero

ore 16.00 Visita e laboratorio per famiglie (6-12 anni): Indovina chi sei? a cura di Valeria Marchi e Laura Pernechele

ore 18.30 Concerto live set: Adele Pardi ft. Noirêve

DOMENICA 12 MARZO

ore 10.00 Visita guidata gratuita a cura di Laura Pernechele

ore 11.00-12.00 visita e laboratorio per famiglie: Faccia di puzzle a cura di Valeria Marchi e Arianna Tait

ore 15.00 Visita guidata gratuita a cura di Arianna Tait

ore 17.30 Talk: L’altra metà dell’avanguardia con Angela Maderna e Valeria Marchi

aprile, maggio, giugno, settembre 2023: laboratori per scuole


[1] Wolfgang Goethe, Faust e Urfaust, a cura di Giovanni Vittorio Amoretti, Feltrinelli, Milano 1980, pag. 667.

[2] Il realismo magico. Storia, idee, protagonisti, opere e forme di uno stile italiano in Realismo magico. Uno stile italiano catalogo della mostra a Palazzo Reale, Milano, a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli, 24 Ore Cultura Editore, Milano 2011 pp. 178-191.

[3] Bortoloni Piazzetta Tiepolo. Il 700 veneto, a cura di Fabrizio Malachin, Alessia Vedova, un progetto di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, in collaborazione con l’Accademia dei Concordi e il Comune di Rovigo, dal 30 gennaio al 13 giugno 2010, Rovigo

[4] Valentina Lapierre, scheda dell’opera, Catalogo generale delle Opere di Fondazione Cariverona e Fondazione Domus, © Fondazione Domus per l’arte moderna e contemporanea, Verona 2015.

[5] Chiara Rossetti, scheda dell’opera, Catalogo generale delle Opere di Fondazione Cariverona e Fondazione Domus, © Fondazione Domus per l’arte moderna e contemporanea, Verona 2015.